I cinque modelli di business dell’Economia Circolare

Economia circolare
04.06.2021

Concetti teorici ed applicazioni pratiche 

Modificare i processi produttivi secondo una logica sostenibile per le imprese è visto come un costo, ma dalla celebre citazione di Michael R. Porter, 1995 “L’inquinamento è una forma di spreco economico, che implica l’utilizzo non necessario, inefficiente o incompleto di risorse. Spesso le emissioni sono un segnale di inefficienza, e impongono a un’organizzazione il compimento di attività che non generano valore, quali la gestione, lo stoccaggio e lo smaltimento dei rifiuti prodotti. Alla base di sforzi di riduzione degli sprechi e di massimizzazione del profitto vi sono alcuni princìpi comuni, quali l’uso efficiente degli input, la sostituzione dei materiali, e la minimizzazione delle attività non necessarie”. 

Partendo da questo presupposto, sono stati individuati cinque modelli di business – rappresentati di seguito con esempi di best practice per ognuno – per perseguire gli obiettivi del paradigma dell’economia circolare producendo valore ed aumentando i profitti con la riduzione degli sprechi e migliorando l’efficienza produttiva.

1. Filiera circolare “fin dall’inizio” con l’utilizzo di materiali sostenibili ed innovativi. 

Il concetto è quello di concentrarsi sulla circular supply chain con l’utilizzo di energia da fonti rinnovabili o attraverso un approvvigionamento da materie prime seconde, quindi riciclate, o riciclabili.

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Un esempio è quello di Mapei, azienda operante nel settore edilizio, che da un’inefficienza ambientale di un loro prodotto, ovvero dal calcestruzzo reso non più utilizzabile e che costituiva un rifiuto di ingenti dimensioni l’anno, hanno inventato un additivo in grado di trasformarlo in materiale modulare da impiegare per la produzione di cemento e che costituisce materia prima seconda per il loro processo di produzione.

2. Recupero e riciclo

Tanti possono essere gli esempi in questo campo, ma sicuramente un caso studio interessante di best practice è quello adottato da Aquafil, azienda produttrice di filati di nylon e molto attenta al tema della sostenibilità, che ha ideato Econyl. Il nylon di scarto proveniente da reti da pesca e dalla produzione tessile viene recuperato e trasformato in filo nuovo, avente le stesse caratteristiche da materia prima vergine e che può essere reimpiegato nel campo della moda o dell’arredamento.

3. Estensione della vita del prodotto, che include sia il lifecycle extension del prodotto ma anche un’offerta di servizi di riparazione e di upgrade e reselling.

Un esempio è Patagonia, noto brand di vestiario, che con il progetto Worn Wear offre supporto per la riparazione dei capi. Il semplice gesto di far durare più a lungo i capi, avendone cura e riparandoli quando necessario, consente di non doverne acquistare di nuovi evitando così sprechi e rifiuti.

4. Piattaforma di condivisione 

La cosiddetta sharing economy punta alla massimizzazione dell’utilizzo di un prodotto attraverso un uso condiviso. L’esempio più comune è il car-sharing: considerando che un’auto di proprietà viene utilizzata solo al 4% del suo tempo vita, la piattaforma di condivisione permette di aumentarne l’utilizzo puntando alla sua massimizzazione.

5. Prodotto come servizio

Il concetto alla base del product as service è quello di sostituire la vendita di un prodotto, attraverso logiche di dematerializzazione e digitalizzazione di esso, con l’offerta di un servizio. 

Un esempio interessante è quello di Philips e del suo “Lighting as a service” proponendo di soddisfare il bisogno del cliente di avere illuminazione, prende in carico la manutenzione, l’efficienza energetica e lo smaltimento delle lampadine a fine vita con il recupero dei componenti per un periodo di 5 anni. Con l’offerta del servizio diventa di importanza per l’azienda una maggiore durata ed efficienza del prodotto, in contrapposizione al principio dell’obsolescenza programmata.

Nonostante esistano molteplici denominazioni e classificazioni dei business model per l’economia circolare, il più delle volte sono derivati dall’analisi di casi studio basati su best practice. Il limite sta nel fatto che si tratta di esperienze difficilmente replicabili dalla maggior parte delle aziende e ci sono sfide e barriere sulla strada della realizzazione di questi nuovi modelli di business, in termini di tecnologie, di costi d’investimento iniziali, di standard qualitativi e delle problematiche normative.