Le tappe dello sviluppo sostenibile verso l’Agenda 2030

Economia circolare
01.07.2021

Passaggi storici ed obiettivi futuri

A partire dagli anni Sessanta ed in particolare Settanta del secolo scorso le teorie di una crescita economica forzata iniziavano a vacillare perché l’ambiente stava dimostrando dei limiti che contrastavano l’ipotesi ottimistica di uno sviluppo illimitato.

A livello mondiale si accese un forte dibattito su quali modelli di crescita economica si dovessero adottare e come risolvere quelli che erano chiaramente i limiti dello sviluppo.

­L’attenzione si focalizzò sul Rapporto “The Limits to Growth” elaborato nel 1972 dal Club di Roma: lo scenario prospettato non era quello di una crescita economica illimitata quanto piuttosto di una crescita esponenziale dei consumi in cui tutte le risorse non rinnovabili erano destinate ad esaurirsi nell’arco di un secolo. La riduzione della crescita della popolazione e dei consumi era l’unica possibilità per evitare il collasso.

Nello stesso anno, la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano (UNCHE) tenutasi a Stoccolma nel 1972 segnò l’inizio di una presa di coscienza dei problemi legati all’ambiente a livello globale ed istituzionale.

Un successivo passo avanti fu fatto quando la definizione, universalmente riconosciuta, del concetto di sviluppo sostenibile inteso come “quello sviluppo che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri” venne introdotta per la prima volta nel 1987 con il Rapporto Bruntland “Our Common Future”, documento pubblicato dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo.

Con il Summit della Terra, tenutosi a Rio de Janeiro nel 1992 avvenne una svolta nella coscienza collettiva e politica rispetto all’importanza che i temi ambientali rivestono per l’economia di ogni Paese. In quella sede vennero adottati 5 documenti che costituiranno, da quel momento in poi, le linee-guida per l’azione degli Stati membri: La Convenzione quadro delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici (UNFCCC); La Convenzione sulla diversità biologica; L’Agenda 21; La Dichiarazione di Rio su Ambiente e Sviluppo; I Principi sulle Foreste.

Se la Convenzione quadro delle Nazioni Unite per i cambiamenti climatici (UNFCCC) incoraggiava i Paesi industrializzati a stabilizzare le emissioni di CO2 nell’atmosfera, l’obiettivo che ci si pone con il Protocollo di Kyoto adottato a Kyoto l’11 dicembre 1997 ed entrato in vigore il 16 febbraio 2005, richiedeva agli Stati parte di adottare misure per la riduzione dell’emissione dei gas ad effetto serra nel periodo 2008-2012 di circa il 5% rispetto ai valori del 1990.

Sulla scia delle negoziazioni delle strategie da implementare a livello internazionale per la lotta al cambiamento climatico, l’Accordo di Parigi adottato alla conferenza di Parigi sul clima (COP21) nel dicembre 2015 ed entrato in vigore il 4 novembre 2016 è il primo accordo universale e giuridicamente vincolante che prefissava obiettivi ambiziosi, tra cui quello di contenere l’aumento della temperatura media globale entro i 2 °C rispetto ai livelli pre-industriali, e di limitare poi tale incremento a 1,5 °C.

Sono questi i passi principali mossi sul cammino verso uno sviluppo sostenibile che ci hanno condotto ad una data da incorniciare: il 25 settembre 2015 in cui viene approvata dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite lAgenda 2030, sottoscritta dai governi di 193 Paesi membri dell’ONU ed entrata in vigore nel gennaio 2016.

Sono i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Development Goals) a dare seguito ai risultati dei Millennium Development Goalsgli 8 Obiettivi del Millennio sottoscritti il 20 settembre del 2000 nella Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite, che adottavano un approccio di natura essenzialmente sociale verso i Paesi in via di sviluppo che la comunità internazionale si impegnava a raggiungere entro il 2015.

L’Agenda 2030 allarga i propri orizzonti rispetto agli Obiettivi del Millennio, in quanto rappresenta “obiettivi comuni” che coinvolgono tutti i Paesi e tutti gli individui, nessuno escluso, per il raggiungimento di uno sviluppo sostenibile declinato questa volta nelle tre dimensioni della sostenibilità, quella sociale, ambientale ed economica, che i Paesi si impegnano a raggiungere entro il 2030.